domenica 9 novembre 2014

Una schiava


Hera, 2484
"Non resterò qui a lungo"

Ne ero certa.
Avevo tentato la fuga un centinaio di volte ma mai con un piano preciso.
Il padrone di casa aveva organizzato una festa per celebrare il matrimonio di suo figlio, un cretino saccente capace solo di combinare guai, e la villa era strapiena di persone venute da tutti i pianeti. 
Li osservavo uno ad uno con rabbia mentre portavo i vassoi con le pietanze verso la lunga tavolata che sembrava non aver fine. Piatti prelibati che non avrei mai potuto toccare nemmeno con un dito.
Nonostante il mio totale disprezzo per loro, sorridevo sempre e comunque. Non dovevo destare alcun sospetto ma, appena potevo, il mio viso tornava quello di qualcuno a cui quel collare sta troppo stretto.

Continuavo a servire da bere al padrone, teneva ben legato al collo il sistema di disattivazione del collare con annesso gps, non potevo permetterli di trovarmi di nuovo.
Solo quando fui certa che non si sarebbe nemmeno ricordato come si chiamava, mi proposi di accompagnarlo nella sua stanza e, nel sistemarlo a letto, rubai la chiave per la mia libertà. 
Fu uscendo dalla stanza che incontrai Alexander Smoke, un rampollo di una famiglia a capo di non so bene che cosa su Hera.
Era tutta la sera che mi sentivo in qualche modo osservata da lui, trovarmelo fuori dalla porta mi confermò che mi stava tenendo d'occhio. Strinsi il dispositivo nel pugno pregando in cuor mio che non si accorgesse di nulla mentre accennai un inchino non abbassando mai lo sguardo.
Non gli rivolsi parola e me ne andai di corsa, nonostante non mi avesse dato l'autorizzazione. Avrebbe potuto farmi frustare per questo, se avesse voluto.

Attesi con calma nella mia stanza che tutti si addormentassero e sgattaiolai in silenzio raccogliendo il fagotto che avevo accuratamente nascosto sotto il letto. 
Avevo adocchiato già la porta di servizio che, generalmente, si può aprire facilmente con una chiave che la cuoca lascia appesa dall'altra parte del muro. Sorrisi tastando al buio alla ricerca di un altro tassello per la mia libertà.

*non c'è...*

Un brivido mi percorse la schiena vedendo un luccichio ondeggiare nel buio, un riflesso di uno dei lampioni esterni della villa.

"Cercavi questa?"

La voce maschile mi raggelò il sangue.
Si era spostato sotto la luce del lampione che proveniva dalla finestra: era il rampollo di Hera.

"Vuoi fermarmi?"
"No..." 

E mi aveva semplicemente passato la chiave.

"Ma ti sconsiglio di farlo stasera. Sta piovendo, e dovrai superare il muro di cinta. L'albero su cui ti vuoi arrampicare è bello ma molto scivoloso quando è bagnato. Rischieresti di farti male e rovinarti per sempre la via di fuga."
"Correrò il rischio."

Aveva sorriso e mi aveva lasciato passare, aprendomi la porta e rivolgendomi uno strano inchino.
Corrugai la fronte, ma lo ignorai me ne andai.
Non potevo immaginarmi che avesse ragione su tutto.
Scivolai quando cercai di saltare dal ramo al muro, ed è solo per chissà quale miracolo che non mi ruppi la testa ma solo una gamba.
Il padrone non la prese bene.
Non solo era stato gabbato da una ragazzina, ma la sua merce era anche danneggiata.

"Sei e sarai sempre una schiava."

Mi fece marchiare a fuoco su un fianco, come un animale, umiliandomi davanti a tutta la casa. Un giglio fiorito, simbolo della famiglia. Nonostante gli occhi mi bruciassero dalla rabbia, non piansi né emisi un urlo tanta era la voglia di distruggere qualcosa.
Alexander osservò tutta la scena. Mantenni gli occhi su di lui tutto il tempo livida di ira.
Non sarebbe stata l'ultima volta che lo vidi.

Mi venne innestato il chip di riconoscimento sottopelle con tanto di segnale gps, non potevo più scappare.
Imparai a trarre vantaggio da quella situazione, a farmi rispettare nella casa, apprendendo il più possibile da ciò che mi circondava. Assorbivo come una spugna certa che, un giorno, avrei riottenuto ciò che più anelavo: la mia libertà.