martedì 23 dicembre 2014

Connecting

Horyzon, 24 Dicembre 2014


    Nel cuore della notte arriva una chiamata sul mio cpad. A tastoni cerco di prenderlo facendo cadere un paio di cose che erano sul comodino, prima di attivare l'audio.

"Spero che sia morto qualcuno, o presto lo sarà..."
"Buongiorno anche a te my little Sunshine."
"Papà...sono le..." apre un occhio sul monitor del cpad che in quel momento, sembra un faro della luce. "quattro del mattino. Che cosa c'è?"
"Ah! Ancora devo regolarmi con questo dannato fuso orario."
"Eh, magari..."
"Beh, ma tanto ormai sei sveglia."
"..."
"Allora, come vanno le cose su Horyzon?"
"Vanno."
"Ti sei fatta nuovi amici?"

Amici...come se ne avessi mai avuti.

***

"Grazie per aver pagato lì nel pub. Me la sarei vista brutta."

   Avevo aiutato quell'uomo a pezzi anche se non è nella mia natura farlo, forse solo per non sentirmi più in nessun modo in debito con lui. Eppure, anche mentre gli aggiustavo il bavero del cappotto prima di farlo entrare nel taxi, era come sapessi che dovessi preoccuparmene in qualche modo.

"Ok, casa mia, cucini tu e decidi il perché."

     La persona più cocciuta che abbia avuto tra i piedi, mi aveva lanciato una sfida e, come ogni volta che succede, sono incapace di tirarmene indietro. Forse troverò il modo per far si che perda ogni minimo interesse nei miei confronti o, molto probabilmente, l'ho già trovato.

"Vuoi sapere che cosa succede? Lei è attratta da te, e no, non sei una amichetta come ti dice, [...] Quindi, prima che tu le spezzi il cuore e lei si faccia mille castelli in aria su cosa siete e sarete, parlatevi."

    Ero stata brutale ma per una buona causa, chiamiamola "buona azione" anche se il tatto non è decisamente il mio forte in questi casi.


***

"Ehi? Sei ancora con me, Sophia?"
"Eh? Ah si scusa, ho sonno."
"Mh... dicevo ti sei fatta nuovi amici?"
"No."
"Sophia, sei una psicologa. Leggi le persone con la stessa facilità con cui leggi un libro in arabo, la tua lingua madre, e non riesci a farti degli amici?"
"Buonanotte papà."
"Ma..."

    Avevo chiuso la chiamata spegnendo direttamente il cpad borbottando qualcosa mentre tentavo di prendere sonno inutilmente. Alla fine la vocina fastidiosa di Jhon Tyler mi aveva convinto ad alzarmi accendendo la luce. Avevo rovistato nel cestino della scrivania sino a trovare il foglietto sgualcito con un indirizzo. L'avevo spiegazzato sbuffando mentre aprivo il portafoglio riponendolo accanto a un pezzo di stoffa gialla conservata gelosamente. Solo una lamentela era uscita dalle mie labbra:

"Dannato papà."

sabato 20 dicembre 2014

Hypocrisy

Horyzon, 19 Dicembre 2516

"Sinceramente? Non me ne frega niente."

  Osservo sempre con divertimento certe contraddizioni tra il dire e il fare, come quelle di quell'uomo, Reuel Olivaw.
Mi aveva appena evitato una denuncia presso la stazione di polizia facendo scappare il ragazzetto che voleva rubarmi il portafoglio, aveva espresso il suo disprezzo per chi si dimentica di coloro che sono più disagiati, i meno fortunati, come anche le differenze tra chi vive nel Core o nel Rim, eppure adesso aveva il coraggio di dire che non gli importava di nulla.

"Io non credo di sapere." avevo ribattuto prontamente "Io so che non è indifferente o mi avreste lasciato derubare come avrebbero fatto gli altri."
"Siamo soltanto animali orfani dei nostri istinti."

Mi aveva guardato porgendomi la mano presentandosi.
Avevo stretto la mano callosa con la mia tirandolo a me solo per un contatto differente: un bacio.


***

Aghata, 30 Giugno 2510 


Lo avevo mollato in mezzo alla sala da ballo per correre in bagno.
Le guance accese di una tonalità più purpurea, il battito accelerato e l'espressione ancora scioccata non tanto per il bacio di per sé, quanti ne avevo dati senza battere ciglio? Allora che cosa mi dava così... fastidio?
Ero convinta che anche in questo caso sarebbe stato uguale, che non avrei provato nulla perché era difficile, se non praticamente impossibile, attirare veramente la mia attenzione, soprattutto se quel qualcuno fosse stato lui.
Stavo semplicemente mentendo a me stessa.
Avevo chinato lo sguardo mordendomi con forza il lato del labbro inferiore sino a farlo sanguinare.

"Dannazione."

***

"Che cazzo fai??"

Avevo semplicemente sorriso dicendogli il mio vero nome, privilegio che, soprattutto ai passanti, concedo raramente. 

"Testavo quanto sei orfano degli istinti. Sei più giusto di tanti che credono di esserlo...Reuel."

E' più forte di me. 
Quando vedo qualcuno fare a pugni con la propria natura o con i propri sentimenti, faccio fatica a stare zitta, a tenermi le cose per me. E mi rendo conto di essere la peggiore delle ipocrite.

mercoledì 17 dicembre 2014

Mask

   Horyzon, 2516

    Continuo a sospettare che dovrei imparare a farmi i cocktail da sola, forse smetterei di incontrare persone che, puntualmente, cercano di attaccare bottone con me. 
A volte può essere divertente variare ma, purtroppo, la maggioranza di coloro che incrocio sono noiosi e prevedibili. 

    Osservo i loro visi che si susseguono nella mia mente come fotogrammi di un holofilm muto in bianco e nero.
Non vedo tonalità, non vedo brillantezza, ma solo ciò in cui peccano.
Come il bel ragazzo decisamente ossessionato dal sesso. Era bastata una strusciata per farlo eccitare, e non mi ero nemmeno impegnata. O il damerino di Horyzon deciso a riscattarsi facendo una brillante carriera nella flotta sino a diventare qualcuno, magari ammiraglio, eppure mi parlava sotto gli effetti di una sbronza colossale.

"Da domani sarò un uomo nuovo."

   Ne ho visti di persone così. La cosa triste è che dicono con la massima sincerità che "avrebbero smesso" eppure, puntualmente, tornano nel mio studio con gli stessi drammi, gli stessi problemi e le stesse mancanze.
Gli ultimi sono stati il ragazzino che si sente troppo grande per la sua vera età. Parla e beve come un uomo mentre ancora non ha nemmeno una parvenza di barba sotto il mento, e la donna rimmer che prova con tutta se stessa a essere ciò che non è: una corer.

"Mi classificate e non mi date nemmeno la possibilità di parlare. [...]"

No
Non ce n'è bisogno.
Almeno, la maggioranza delle volte.

Osservo scene già viste solo sotto tonalità di grigio differenti.
Mi aveva detto John Tyler che studiare psicologia mi avrebbe forgiato, mi avrebbe reso una donna sensibile e più propensa all'empatia, all'altruismo. Lui ci credeva davvero.
Ma l'università mi ha solo aperto ancora più gli occhi su chi ho davanti ed è, semplicemente, terrificante.

Penetro nelle menti altrui guardandone gli occhi attentamente, osservando la disperazione nel gesto che, per alcuni può essere goliardico o coraggioso. Ma vi sono chissà quali problemi di stima o traumi infantili in chi ha un vero chiodo fisso con il sesso, o quali siano i sentimenti di indegnità di un uomo che si attacca a una bottiglia mentre sogna la grandiosità, o ancora il desiderio di piacere a tutti per ciò che, probabilmente, si pensa che si deve essere invece di coltivare ciò che naturalmente abbiamo dimenticandoci chi realmente siamo.

***

Aghata, 2510

"Mia cara, dovresti imparare a essere più dolce."
"Non sono un dessert, John."
"Papà...lo sai che puoi chiamarmi papà adesso."
"..."
"Ok, ok...vogliamo parlare del figlio degli Smoke che ti ha baciato l'altra sera?"
"No."
"Ecco era questa l'acidità di cui ti parlavo. Sei scappata e l'hai mollato in mezzo alla sala."
"Tu non capisci..."

    Si sta innervosendo la giovane donna mentre stringe un po' di più il coltello del burro fermandosi di spalmare la marmellata.

"Cosa c'è da capire, ti ha baciato in mezzo a un centinaio di persone."
"Non tutti i sorrisi sono sinceri, non tutti i gesti sono disinteressanti, non vi è così tanto amore e bontà come pensi tu in questo Verse."
"Appunto, non è disinteressato."

    Aveva sbattuto forte le mani sul tavolo alzandosi di scatto, gli aveva rivolto i suoi occhi furiosi e taglienti mentre la voce era rimasta poco più di un sussurro. Avesse potuto ringhiare l'avrebbe anche fatto.

"No, tu non capisci. Mi hai fatto studiare per comprendere le persone e più le osservo percependo le loro emozioni che mi scorrono sulla pelle, nelle vene, più provo pena per loro, non compassione. Non accettano di avere difetti, si spingono in avanti per ottenere la perfezione in un mondo imperfetto."
"Si chiama educazione e desiderio di migliorarsi."
"Dare una mano di bianco su un muro crepato che sta per crollare non è educazione, è ipocrisia. Allo stesso modo indossano maschere per celare la loro vera faccia, la loro vera natura. Io non nascondo ciò che sono. Sorrido se ne ho voglia, se mi interessa qualcosa so ascoltare ed essere amabile, ma non elargisco complimenti e pacche sulle spalle solo perchè qualcun altro ne sente terribilmente la necessità di sentirsi amato e apprezzato. Il parere altrui è volubile come l'aria, le persone amano chi si sa amare nella giusta misura, tutto il resto... sono solo balle."

Aveva sospirato l'uomo scuotendo la testa rassegnato.

"Ne riparleremo un'altra volta. Ora siediti per favore, finiamo la colazione."

lunedì 15 dicembre 2014

Le sabbie del tempo


Horyzon, 2516

    Sentir parlare quello sconosciuto ad alta voce in una biblioteca, per quanto fossimo soli, mi urtava e non poco.
L'ultima cosa che mi sarei aspettata era di ritrovarmi seduta poche ore dopo seduta al tavolo con lui.
Lo avevo analizzato sino in fondo, ascoltando con attenzione ogni singola sua affermazione.

"Mi piace vincere, non mi piace solo giocare..."

    Era stata la chiave di lettura per tutto il resto.
Aveva dischiuso i meandri della sua mente come una finestra al mattino, spalancata per bene per far cambiare aria nella stanza. Ma l'idee dell'uomo, Gordon Wong, erano ben chiare  e precise. Solo un grande desiderio muove i suoi passi ed è quello del potere.

    Il potere, come il denaro e qualsiasi altra cosa a cui si eccede, danno dipendenza, assuefano a tal punto che non sai più dove ti devi fermare. Osservavo l'uomo davanti a me e mi domandavo se non fosse il più grande pallone gonfiato che avessi mai incontrato o, semplicemente, il più grande stratega in cui potessi imbattermi.

"E' fidanzata?"

Il cambio repentino del discorso mi aveva preso in contropiede.


***

Aghata, 2510
"Io scapperei se fossi in te. Non ascoltare le sue parole gentili e lusinghiere. Ti masticherà, ti consumerà, per poi sputarti come una cicca priva di sapore."

    Conoscevo molto bene il giovane davanti a me: Adrian Alexander Smoke. 
Rampollo di una famiglia di origini importanti su Aghata, un egocentrico arrogante. 
Nel corso della mia vita me l'ero sempre ritrovato tra i piedi ed era diventato più urticante che un'ortica ai miei occhi.

"Ti ho mai nascosto di avere un interesse per te? Non mi pare... "

    Effettivamente sin da quando mi incontrò da schiava su Clackline, dimostrò uno strano interessamento nei miei confronti, qualcosa che non riuscivo a spiegare. 
Qualcosa che dovevo sapere.

"Hai intenzione di invitarmi a ballare o hai già trovato una nuova scaldaletto per stanotte?"

    I mormorii nella sala erano cresciuti appena avevamo iniziato a danzare e, solo in quell'istante avevo iniziato a realizzare.

"Ora ho capito. Non otterrai mai da me quello che vuoi, lo sai?"
"Pensi che voglia sposarti per il tuo status sociale? Oppure che voglia portarti a letto semplicemente? Mi sottovaluti ampiamente..."
"Dubito vivamente che sposeresti mai una ricca commerciante, no, credo che, se mai ti sposerai, punterai più in alto. Ma non credo che disprezzeresti entrare nel mio letto. L'unica ragione per cui non lo fai è che, per quello che ti servo, devi essere certo di sapermi controllare e, se ti unissi a me, sai già chi comanderebbe tra i due. Ti servo perchè vedo le persone come le vedi tu, colgo le opportunità, so aspettare e so dove sia il vero potere. Qualità rare e difficili da trovare. Il potere...vale più di qualsiasi lingotto d'oro, quelli si prendono per chi è capace di rigirare le persone come me...come te."

    L'avevo guardato mentre era rimasto in silenzio tutto il tempo. Avevo capito il suo gioco e, anche solo per ripicca, non avrei mai acconsentito in alcun modo ad aiutarlo.

"Ma dimentichi che io ti odio."
"Lo so."

    Non aveva risposto oltre cercando, invece, di imporsi nel ballo, cosa che avrei potuto anche concederli. Avevamo appena sostenuto un testa a testa molto più importante e aveva perso. Aveva perso alla grande.

Non potevo sbagliarmi più di così.

    Aveva utilizzato la mia distrazione mentre gongolavo, fiera di me stessa, per scoccare la sua contromossa: 

mi aveva baciato.

E, come due fiere che anche in quel momento cercano di divorarsi voraci l'un l'altro, così eravamo io e lui: due persone incapaci di cedere, che si graffiano e feriscono per lasciare un segno reciproco nell'altro. Un segno di appartenenza e di possessione.

"Ricorda: l'odio è un sentimento troppo forte per qualcuno per cui non ne vale la pena."

***

"No. [...] Ma perchè me lo chiede?"
"Sono seduto a un tavolo da poker con una persona che sa leggere le persone. [...] Me lo dica lei."

    E nel sorriso e nella straffottenza di quell'uomo rivedevo gli occhi scuri di un fantasma cancellato dalle sabbie del tempo.

domenica 9 novembre 2014

Una schiava


Hera, 2484
"Non resterò qui a lungo"

Ne ero certa.
Avevo tentato la fuga un centinaio di volte ma mai con un piano preciso.
Il padrone di casa aveva organizzato una festa per celebrare il matrimonio di suo figlio, un cretino saccente capace solo di combinare guai, e la villa era strapiena di persone venute da tutti i pianeti. 
Li osservavo uno ad uno con rabbia mentre portavo i vassoi con le pietanze verso la lunga tavolata che sembrava non aver fine. Piatti prelibati che non avrei mai potuto toccare nemmeno con un dito.
Nonostante il mio totale disprezzo per loro, sorridevo sempre e comunque. Non dovevo destare alcun sospetto ma, appena potevo, il mio viso tornava quello di qualcuno a cui quel collare sta troppo stretto.

Continuavo a servire da bere al padrone, teneva ben legato al collo il sistema di disattivazione del collare con annesso gps, non potevo permetterli di trovarmi di nuovo.
Solo quando fui certa che non si sarebbe nemmeno ricordato come si chiamava, mi proposi di accompagnarlo nella sua stanza e, nel sistemarlo a letto, rubai la chiave per la mia libertà. 
Fu uscendo dalla stanza che incontrai Alexander Smoke, un rampollo di una famiglia a capo di non so bene che cosa su Hera.
Era tutta la sera che mi sentivo in qualche modo osservata da lui, trovarmelo fuori dalla porta mi confermò che mi stava tenendo d'occhio. Strinsi il dispositivo nel pugno pregando in cuor mio che non si accorgesse di nulla mentre accennai un inchino non abbassando mai lo sguardo.
Non gli rivolsi parola e me ne andai di corsa, nonostante non mi avesse dato l'autorizzazione. Avrebbe potuto farmi frustare per questo, se avesse voluto.

Attesi con calma nella mia stanza che tutti si addormentassero e sgattaiolai in silenzio raccogliendo il fagotto che avevo accuratamente nascosto sotto il letto. 
Avevo adocchiato già la porta di servizio che, generalmente, si può aprire facilmente con una chiave che la cuoca lascia appesa dall'altra parte del muro. Sorrisi tastando al buio alla ricerca di un altro tassello per la mia libertà.

*non c'è...*

Un brivido mi percorse la schiena vedendo un luccichio ondeggiare nel buio, un riflesso di uno dei lampioni esterni della villa.

"Cercavi questa?"

La voce maschile mi raggelò il sangue.
Si era spostato sotto la luce del lampione che proveniva dalla finestra: era il rampollo di Hera.

"Vuoi fermarmi?"
"No..." 

E mi aveva semplicemente passato la chiave.

"Ma ti sconsiglio di farlo stasera. Sta piovendo, e dovrai superare il muro di cinta. L'albero su cui ti vuoi arrampicare è bello ma molto scivoloso quando è bagnato. Rischieresti di farti male e rovinarti per sempre la via di fuga."
"Correrò il rischio."

Aveva sorriso e mi aveva lasciato passare, aprendomi la porta e rivolgendomi uno strano inchino.
Corrugai la fronte, ma lo ignorai me ne andai.
Non potevo immaginarmi che avesse ragione su tutto.
Scivolai quando cercai di saltare dal ramo al muro, ed è solo per chissà quale miracolo che non mi ruppi la testa ma solo una gamba.
Il padrone non la prese bene.
Non solo era stato gabbato da una ragazzina, ma la sua merce era anche danneggiata.

"Sei e sarai sempre una schiava."

Mi fece marchiare a fuoco su un fianco, come un animale, umiliandomi davanti a tutta la casa. Un giglio fiorito, simbolo della famiglia. Nonostante gli occhi mi bruciassero dalla rabbia, non piansi né emisi un urlo tanta era la voglia di distruggere qualcosa.
Alexander osservò tutta la scena. Mantenni gli occhi su di lui tutto il tempo livida di ira.
Non sarebbe stata l'ultima volta che lo vidi.

Mi venne innestato il chip di riconoscimento sottopelle con tanto di segnale gps, non potevo più scappare.
Imparai a trarre vantaggio da quella situazione, a farmi rispettare nella casa, apprendendo il più possibile da ciò che mi circondava. Assorbivo come una spugna certa che, un giorno, avrei riottenuto ciò che più anelavo: la mia libertà.