Capital City, 18 Marzo 2517
Il sonno era volato via ormai da diverse ore, continuavo a fissare il soffitto osservando le luci riflesse dei lampioni fuori di casa.
Il telefono aveva squillato e, questa volta, non avevo fatto passare più di qualche secondo prima di prenderlo.
"Pronto?"
"Oh, ma sei sveglia? Pensavo ci avresti messo di più per rispondere."
"Vorresti farmi credere che, sin'ora, mi hai chiamato di notte con il puro e sadico intento di svegliarmi?"
"Ehm... no, no, figuriamoci."
Non ci avevo creduto minimamente conoscendo gli scherzi idioti di cui è sempre stato capace di fare ma, in quel momento, non avrei avuto le forze di arrabbiarmi per niente. La mia mente era altrove, oltre i cieli di Capital City, oltre il sistema Centrale.
"Ho rivisto gli occhi di Adrian."
***
Clackline, 18 Marzo 2498
"Si! Così!"
"Stendilo di brutto!"
"E chi se lo immaginava che la nuova menasse così bene..."
A cavalcioni sopra un ragazzetto più o meno della stessa età, degli occhi verdi furiosi stavano malmenando il viso di chi l'aveva presa in giro per il suo sogno di libertà.
La confusione aveva allarmato gli invitati della festa per il matrimonio del figlio maggiore della famiglia Petit, come il padrone di casa che aveva afferrato la ragazzina per i capelli tirandola via dall'altro schiavo.
"Tu...la devi piantare di creare casini!"
La rabbia si leggeva attraverso quegli occhi di fuoco che sembravano non volersi arrendere a niente.
Scandalizzati uomini e donne perbene la stavano osservando con quei capelli sfatti, le nocche sbucciate e sanguinanti e la faccia sporca di terra e sudore.
Solo due occhi scuri stavano andando al di là di quello che vi era davanti notandone la forza d'animo incredibile e la dignità che, nonostante la posizione, le impediva di abbassare la testa.
Sorrideva, nonostante la stessero "disciplinando" a bastonate di fronte a tutti. Sapeva che se ne sarebbe andata di lì presto.
Aveva organizzato tutto ed era già riuscita a recuperare la chiave che le serviva per aprire il collare con il gps, ora doveva solo aspettare e far si che tutti si ubriacassero il più possibile alla cerimonia.
Era rimasta sveglia osservando il soffitto, combattendo contro il sonno mantenendo il pensiero rivolto al suo piano. Si era mossa con cautela, in silenzio, cercando di raggiungere la cucina dove la cuoca lasciava sempre la chiave della porta secondaria appesa al muro. A luce spenta aveva tastato il muro alla ricerca di qualcosa e, solo dopo qualche istante, si era accesa la luce mostrando un giovane, poco più che ventenne, che la stava fissando con qualcosa tra le mani.
"Cercavi questa?"
"..."
Aveva sorriso, un sorriso bastardo di quelli di chi hanno capito anche senza che gli hai fornito una risposta.
"Se hai intenzione di scappare oggi ti consiglio di evitarlo. Piove e potresti scivolare cercando di scavalcare il muro. Di fatto potresti fare la più grande cavolata della tua vita o rimetterci la pelle."
Aveva lasciato la chiave sul tavolo e semplicemente aveva aspettato che facessi la sua mossa. Si era mossa rapida la ragazzina per arrancare l'ultimo pezzo per ottenere la sua libertà e aveva aperto la porta.
"Hai intenzione di avvisare gli altri appena me ne andrò?"
"Assolutamente no. Ho visto un fuoco dentro di te, uno di quelli che si vedono raramente. Sei sprecata per essere una schiava, questo è certo, ma dubito che questa sia la maniera migliore per ottenere ciò che vuoi."
"Pensi troppo per i miei gusti."
Aveva semplicemente risposto chiudendo la porta dietro di sé fiondandosi verso l'albero che avrebbe usato per superare il muro a protezione della casa.
Pochi minuti più tardi il rumore di qualcosa che cadeva e l'urlo di una ragazzina aveva svegliato anche i sonni più pesanti. Era scivolata rompendosi una gamba. Il primo ad accorrere era stato proprio Vincent Petit che, capendo ciò che aveva tentato di fare, aveva optato per una punizione esemplare. Trascinandola per i capelli, fregandosene delle sue urla di dolore per la gamba dolorante per la frattura, sino alla sala principale.
"Stupida ragazzina."
A poco a poco si riempiva la sala delle stesse facce di coloro che, poco prima, avevano assistito alla sua "bastonata esemplare".
"Quando ti rassegnerai che sei solo una stupida schiava? Non lo vuoi capire con le buone che sei di mia proprietà? Molto bene."
Aveva fatto un semplice cenno ad uno dei suoi collaboratori che aveva capito. Era andato a prendere un ferro che, dopo averlo scaldato per bene nel fuoco del caminetto che si stava spegnendo, l'aveva passato al padrone che, quasi con godimento, aveva marchiato a fuoco con un giglio, simbolo della casata, la carne tenera della giovane. L'urlo era riecheggiato ma più le faceva del male, più la rabbia le cresceva nel petto come un buco nero che più risucchia, più diventa grande.
"Sei mia...di mia proprietà e sarà così sino a quando lo deciderò io. Ora hai capito lurida schiava?"
E, in mezzo ai sussurri pietosi, le risa sprezzanti, gli scherni e gli insulti, tutto veniva ovattato catturato da due pietre senza amore né odio né pietà che erano fisse in quelle verdi di lei, in silenzio.
***
Casinò Skiplex, 14 Marzo 2517
C'era qualcosa nel suo sguardo che aveva attirato l'attenzione della donna, difficile capire cosa, di fatto la mettevano in soggezione distraendola dal suo gioco.
Aveva rinunciato, alla fine, ben sapendo che non riusciva a concentrarsi. Più si diceva che la sua mente le faceva brutti scherzi, più si sentiva oppressa da un senso di nausea.
Aveva cercato un po' di conforto nel belvedere, sarebbe stato sufficiente prendere una boccata d'aria, scaricare i nervi e tornare tra i tavoli da gioco, più carica che mai, ma si era ritrovata l'uomo di prima di fronte a lei con il suo bicchiere in mano.
"Avrebbe potuto portarmi le fishes invece del bicchiere. La ringrazio per il whisky"
"Prego...Sophia."
*Sembra lui*
"tu..."
Occhi quasi lucidi nel collegare tutti i segnali che aveva ignorato durante quel testa a testa.
*ma non può essere lui.*
"Tu..."
Si era avvicinata protendendo la mano verso di lui come alla ricerca di quel contatto fisico per farle comprendere che non stava sognando e non era un'allucinazione.
*Adrian Smoke era morto.*
"TU!"
La rabbia delle verdi si era riversata con tutta la sua forza in uno schiaffo bendato che gli aveva fatto girare la faccia. Non aveva reagito, non aveva detto nemmeno una parola mentre lei lo odiava e l'amava per non essere morto ed essere reale tanto quanto il bruciore sul palmo della mano.
Cercarne le labbra, assaggiarle di nuovo, morderle, graffiarlo e tastare ogni sensazione che aveva provato quell'ultima volta che si erano visti alla festa, era diventato un desiderio naturale, un istinto primordiale.
Un bacio che, come ogni loro incontro, era una lotta per la supremazia dell'altro.
Nessun romanticismo, nessun sussurro dolce, nessun sospiro d'amore, solo il simbolo di un territorio marcato da ambo le parti nuovamente.
Si erano allontanati senza nemmeno salutarsi, chiedersi perchè, o semplicemente sapere la ragione di quel lungo distacco. Aveva digitato qualcosa sul suo cpad e aveva aperto la comunicazione.
"Signor Hunter? Ho del lavoro per lei..."
***
"Tesoro mio..." aveva sospirato "devi andare avanti ormai sono passat..."
"Non hai capito papà, Adrian è vivo."